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Corte di Giustizia Europea: l’Iva sul canone RAI è illegittima

Per la Corte Europea non costituisce “prestazione di servizi”, ai sensi della direttiva in materia di IVA, l’attività di tele-radiodiffusione pubblica finanziata con il pagamento del canone da parte dei proprietari degli apparecchi ricevitori.

Precisamente, in riferimento al servizio pubblico di radiodiffusione della Repubblica Ceca, la Corte Europea ha valutato i profili d’imposizione oggettiva sul valore aggiunto (tipo l’IVA) ex l’art. 2 della sesta direttiva, ora art. 2 della direttiva 2006/112/CE.

Secondo la norma, costituiscono operazioni soggette ad IVA “le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”. Detta norma “presuppone l’esistenza di un nesso diretto tra il servizio prestato e il controvalore ricevuto”, così come è imprescindibile il nesso sinallagmatico per l’applicazione dell’art. 3 del DPR 633/72 -normativa italiana sull’IVA – (Corte di Giustizia Ue, caso Cesky rozhlas – radio pubblica di Praga-, causa C-11/15, depositata il 22 giugno 2016).

Quindi, secondo la Corte Europea, per il servizio di radiodiffusione pubblica:

  • non intercorre un rapporto giuridico tra la società che esercita il servizio radiofonico pubblico e le persone tenute al pagamento del canone, tale per cui avvenga uno scambio di reciproche prestazioni (rapporto sinallagmatico);
  • non sussiste un nesso diretto tra tale servizio di radiodiffusione pubblica e il canone dovuto.

Tale principio è applicabile anche al canone RAI.

Si consideri che la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 29/2016 ha precisato che nel canone RAI è inclusa anche l’IVA.

Nell’ambito della fornitura del servizio radiofonico e/o televisivo, le parti non sono legate da alcun vincolo contrattuale né da alcun negozio giuridico implicante la stipulazione di un prezzo. Infatti, il pagamento del canone discende dall’esecuzione di un obbligo imposto per legge ai destinatari del servizio.

Ciò, quindi, esclude qualsiasi possibilità legata alla sussistenza di un rapporto sinallagmatico (reciproche prestazioni) e, dunque, di una “prestazione di servizi” caratterizzata da onerosità come stabilito dalla legge IVA (si veda anche Cass. SS. UU. Sent. n. 5078 del 15 marzo 2016; Cass. n. 4776 del 26 marzo 2012).

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