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Errore dichiarazione emendabile anche in processo, se non si paga la maggior imposta

La Cassazione precisa che se l'errata imposta in dichiarazione non è pagata può essere corretta anche in giudizio

La suprema Corte, con la sentenza n. 5728 del 09 marzo 2018, fa un po’ di chiarezza in riferimento alla possibilità del contribuente di correggere errori presenti in dichiarazione, considerando tempi e modalità in riferimento alle diverse modalità di “correzione”.

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La fattispecie oggetto della sentenza

Un contribuente impugnava avanti al Giudice tributario una cartella di pagamento emessa ex art. 36bis D.p.r. n. 600/1973 (controllo, cosiddetto, automatico), perché aveva come oggetto pretese tributarie non corrisposte in quanto derivanti da errore presente nella compilazione della dichiarazione dei redditi. Tale errore veniva poi emendato dalla contribuente entro i termini dell’art. 38 D.p.r. n. 602/1973 (entro 48 mesi dalla data di versamento).

La CTP dava ragione alla contribuente ed, in buona sostanza, anche la CTR della Lombardia confermava la possibilità per la contribuente di correggere l’errore oltre i termini dell’art. 2, comma 8 bis, D.p.r. n. 322/1998 (non oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo).

Per la riforma della sentenza della CTR ricorreva in Cassazione l’Agenzia delle Entrate.

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La decisione della sentenza

L’Agenzia delle Entrate eccepiva che la possibilità di correggere errori presenti nella dichiarazione non può andare oltre il termine dell’art. 2, comma 8 bis, D.p.r. n. 322/1998 (non oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo). Inoltre, tale correzione non è, sicuramente, possibile dopo essere stato emesso l’atto di contestazione (o esattivo), neppure in sede di contenzioso.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, richiamando una precedente pronuncia (Cass. SS. UU. n. 13378/2016) fa un po’ di chiarezza ed ammette la possibilità di emendare errori in dichiarazione anche in fase contenziosa.

La Corte precisa:

  • Se l’errore per maggior reddito, oppure maggior debito d’imposta, nonché per minor credito è volto a far compensare un credito, la dichiarazione integrativa (per correggere l’errore) deve essere presentata entro e non oltre i termini dell’art. 2, comma 8 bis, D.p.r. n. 322/1998 (non oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo).
  • Se l’errore presente nella dichiarazione del contribuente è a danno dell’Amministrazione Finanziaria, l’errore deve essere emendato con la dichiarazione su entro i termini dell’art. 43 D.p.r. n. 600/1973 (termini per l’accertamento);
  • Se con la dichiarazione integrativa si vuole un rimborso dei versamenti l’errore deve essere corretto entro i termini dell’art. 38 D.p.r. n. 602/1973 (entro 48 mesi dalla data di versamento);
  • Infine, se l’errore presente nella dichiarazione è un errore di fatto o di diritto che comporta una non corretta maggior imposta e tale maggior tributo non è stato versato all’erario, non esiste limite sostanziale o termini per correggerlo, quindi anche in sede di contenzioso.

La Suprema Corte ha quindi statuito il seguente principio di diritto: ”il contribuente che, nel redigere la dichiarazione fiscale, abbia riconosciuto a suo danno importi in misura superiore a quelli effettivi senza procedere anche al pagamento della maggiore imposta può, in sede giudiziale e senza limiti sostanziali o temporali, opporre alla pretesa dell’Amministrazione per l’omesso o insufficiente versamento che l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto; ove, invece, all’erronea dichiarazione abbia anche fatto seguito, in tutto o in parte, il pagamento del maggior importo non dovuto, il contribuente è tenuto ad esperire le procedure di rimborso, nel rispetto delle modalità e dei termini di decadenza previsti, esclusa la possibilità di opporre, in giudizio, l’eventuale credito vantato per l’indebito pagamento” (Cass. n. 5728/2018).

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