Notifica

La residenza non è sempre il luogo per le notifiche del Fisco

Se il contribuente comunica nuovo domicilio, vale quest'ultimo

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 14280 del 4 giugno 2018, ha precisato il principio che il contribuente può “modificare” il proprio domicilio fiscale, presso la propria residenza.

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La fattispecie oggetto della sentenza

Un contribuente impugnava in Cassazione la pronuncia della CTR Lazio che aveva riformato la sentenza della CTP. Per la CTR non era corretto che la CTP avesse annullato l’avviso di riscossione, era illegittima notifica dell’atto prodromico.

Quest’ultimo era stato notificato alla residenze anagrafica del contribuente. Lo stesso, però, aveva comunicato nella dichiarazione di inizio attività ai fini IVA il nuovo indirizzo del domicilio. Inoltre, la notifica di tale atto prodromico era sta effettuata con le procedure ex art. 140 c.p.c. (assenza relativa, si veda news del 10 maggio 2018).

Quindi per la CTR anche se il contribuente comunica, nelle forme di legge, la modifica del domicilio, per le notifiche vale sempre la residenza anagrafica.

La Cassazione, però, ha respinto tale interpretazione del Giudice d’appello.

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Le norme in questione

La pronuncia della Suprema Corte ha basato la propria decisione su due specifiche e precise norme:

  • Art. 58, comma 2, D.p.r. 600/1973 (Domicilio fiscale):“Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte”.

  • Art. 60, comma 1, let. d), D.p.r. n. 600/1973 (Notificazioni): “d) è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano. In tal caso l’elezione di domicilio deve risultare espressamente da apposita comunicazione effettuata al competente ufficio a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero in via telematica con modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate”.

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Le norme in questione

Orbene, per la Cassazione il contribuente può modificare il proprio domicilio fiscale. Quindi spostarlo dalla residenza anagrafica ad altro luogo. L’importante è che ne dia concreta e tempestiva comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Tale nuovo indirizzo fiscale ha, inoltre, prevalenza sulla residenza anagrafica per il principio della buona fede e dell’affidamento:

  • a norma dell’art. 58 d.p.r. n. 600 del 1973 le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune nella cui anagrafe sono iscritte ed inoltre che “in tutti gli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli uffici finanziari deve essere indicato il Comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo, mentre l’art. 60 d.p.r. n. 600 cit. prevede che “è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel Comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano” e che “in tal caso l’elezione di domicilio deve risultare espressamente dalla dichiarazione annuale ovvero da altro atto comunicato successivamente al competente ufficio imposte a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento”, ma non precias particolari requisiti formali per tale elezione di domicilio”;

  • Peraltro, si è aggiunto, che in caso di difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notifica dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del Comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi dell’art. 58, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento, essendo appena il caso di evidenziare che il principio sopra riportato non può ovviamente essere letto”a senso unico”.

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