Penale

OK al patteggiamento della pena anche se il debito con il fisco non è stato saldato

La Cassazione cambia sul patteggiamento per i reati fiscali

La Suprema Corte, con la recente sentenza della Sezione 3, n. 38684 del 21 agosto 2018, ha ribaltato il precedente orientamento della stessa Sezione 3 penale (Cass. n. 5448 del 12 gennaio 2018, vedi news del 16 aprile 2018).

Precisamente, la Corte ha statuito che non serve l’integrale pagamento dei debiti tributari per poter accedere al rito penale speciale del patteggiamento di cui all’art. 444. c.p.p.. Ciò neppure considerando le riforme introdotte dall’art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 158/2015.

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Il Patteggiamento penale

Il patteggiamento, come sopra anticipato, è un procedimento speciale disciplinato dall’art. 444 e ss. c.p.p., che consiste in un accordo tra l’imputato ed il Pubblico Ministero (con il controllo del Giudice) circa l’entità della pena da irrogare.

In buona sostanza, con il rito del patteggiamento l’imputato ottiene uno “sconto” della pena fino al limite di un terzo. L’imputato rinuncia, però, a poter far valere la propria innocenza nel processo.

Dal punto di vista procedurale, il patteggiamento ha come oggetto la possibilità, per l’imputato e per il Pubblico Ministero, di chiedere al Giudice di applicare:

  • una sanzione sostitutiva o una pena pecuniaria diminuita fino ad un terzo;

  • oppure una pena detentiva che, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo, non superi i 5 anni di reclusione.

Tuttavia, il patteggiamento non è ammesso per tutti i reati.

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Orbene, dopo l’introduzione dell’art. 13Bis D.Lgs. n. 74/2000 (effettuata dall’art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 158/2015), tra i delitti esclusi dal patteggiamento vi erano anche quelli tributari. L’esclusione derivava dal mancato pagamento integrale, da parte dell’imputato, del debito tributario posto a base del reato.

Quindi, se l’imputato non pagava totalmente il debito con il fisco prima dell’apertura del dibattimento, lo stesso non poteva accedere al rito speciale del patteggiamento e beneficiare dei relativi sconti di pena.

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La pronuncia in commento

Diversamente da quanto statuito pochi mesi prima (Cass. n. 5448/2018), la stessa Sezione 3 della Cassazione Penale ha cambiato radicalmente orientamento.

Neppure dopo la riforma del 2015 si può escludere la possibilità che l’imputato, per reati fiscali, acceda al patteggiamento.

Con tale pronuncia è stato respinto il ricorso presentato dalla Procura Generale contro la condanna a dieci mesi di detenzione inflitta dopo patteggiamento per il reato di omesso versamento dell’Iva. Il ricorso della pubblica accusa è stato dichiarato inammissibile.

La Suprema Corte, in contrasto con la tesi della Procura Generale (che insisteva sulla non applicazione del rito del patteggiamento), da’ una diversa interpretazione dell’art. 13, comma 1, e dell’art. 13 bis, comma 1 e 2, del D.Lgs. n. 74/2000.

Per la Cassazione la coesistenza delle diverse disposizioni (art. 13, comma 1, ed art. 13bis, coma 1 e 2), non può che stare a significare che:

  • l’integrale pagamento del debito tributario è solo la condizione di assoluzione per non punibilità

  • invece l’integrale pagamento del debito tributario non può, allo stesso tempo, essere anche condizione per applicare una pena patteggiata. Quindi l’imputato può accedere al rito speciale anche con nessun pagamento (oppure con un pagamento solo parziale).

Precisamente: “Una siffatta lettura (come del resto già segnalato nella relazione dell’Ufficio del Massimario all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs n. 158 del 2015) appare tuttavia contraddetta dalla coesistenza, all’interno dello stesso decreto, dell’art. 13 comma 1 (non a caso espressamente richiamato dalla parte finale del comma 2 dell’art. 13Bis) che, all’evidente fine di restringere il proprio ambito di applicabilità, prevede che i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, non siano punibili se “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di a adesione all’accertamento prevista dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”. Proprio tale coesistenza significa (pena, diversamente ragionando, una insanabile contraddizione interna del sistema) che, rappresentando il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (…), in via radicale e pregiudiziale, causa di non punibilità dei reati ex artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo, per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non puniti. Sicché, in altri termini, o l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati; e tale alternativa è, a ben vedere, implicitamente condensata nella clausole di salvezza contenuta, come appena detto sopra, nella parte finale dell’art. 13 bis laddove in particolare lo stesso richiama il contenuto dell’art. 13 comma 1 cit.” (Cass. Pen. n. 38684/2018).

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