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Infedele dichiarazione, indicazione della Corte sulle Sanzioni

Il principio di proporzionalità del Diritto Europeo

La Suprema Corte ha enunciato importanti principi in materia di dichiarazione infedele, successiva integrazione (per rimborso IVA) ed applicazione delle sanzioni tributarie in rispetto dei principi Europei. Molti sono i punti affrontati da tale Cassazione, con l’Ordinanza n. 23506 del 28 settembre 2018.

Precisamente, la Suprema Corte ha argomentato su:

  1. sanzioni tributarie applicabili su dichiarazione infedele e successiva “correzione”;

  2. applicazione delle sanzioni tributarie italiane in rispetto al principio di proporzionalità della Corte di Giustizia Europea.

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La fattispecie

Una società contribuente presentava una dichiarazione fiscale con indicato un credito IVA che pretendeva dovuto. Tale credito IVA veniva contestato dall’Agenzia delle Entrate.

Successivamente la società presentava una “integrazione” a tale dichiarazione in modo non corretto. Veniva inviata una semplice comunicazione “in forma libera” per specificare che tale credito non era dovuto alla Società.

Non venivano, quindi, utilizzati i modelli e le forme obbligatoriamente richieste dall’art. 2, comma 8, D.p.r. n. 322/1998: le “successive dichiarazioni da presentare” (per vedere i tempi e le modalità in riferimento alle dichiarazioni successive per modificare errori a favore o a sfavore del contribuente o in relazione a crediti vantati, si rimanda alle News del 30/6/2018 e del 09/06/2018).

Tuttavia, la Società contribuente non utilizzava tale credito e non lo riportava nelle successive dichiarazioni. Per tale motivo l’Agenzia delle Entrate, in fase di processo, riduceva la ripresa fiscale sull’imposta da €93.580,00 ad €580,00. L’Ufficio, però, non riduceva la sanzione applicabile per la infedele dichiarazione che rimaneva ad € 93.580,00, cioè il 100% della maggior imposta pretesa ex art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997 (la sanzione dal 100% al 200% è stata dirotta dal 01 gennaio 2016, con l’art. 15, comma 1, let. e, n. 3 D.Lgs. n. 158/2015, ora è dal 90% al 180%).

La CTR, però, riduceva anche le sanzioni in considerazione del fatto che l’Agnzia delle Entrate aveva ridotto le imposte pretese ad €580,00. Per la CTR le sanzioni del 100% dovevano rapportarsi a tale nuovo ricalcolo dell’imposta dovuta.

L’Agenzia delle Entrate impugnava tale sentenza della CTR, principalmente, sulla rideterminazione delle sanzioni (motivo secondo dell’impugnazione in Cassazione)

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La decisione della Cassazione

Orbene, la Suprema Corte, con tale ordinanza, come sopra anticipato, ha statuto:

  1. Presupposti per l’applicazione della Sanzione tributaria dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997

    La Suprema Corte precisa che tale art. 5, comma 4, prevede l’applicazione di una sanzione per una fattispecie che possa creare pericolo alle ragioni dell’Erario.

    Individua due presupposti che devo esserci entrambi per la NON l’applicazione di tale sanzione, indipendentemente alla sua successiva correzione. Quindi per l’esclusione del pericolo all’erario:

    – la violazione accertata NON comporti un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo dell’Erario;

    – tale errore di indicazione della dichiarazione non INCIDA sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo.

    Nel caso esaminato dalla Cassazione, tale applicazione della sanzione dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997 vi era, principalmente, per la NON presenza della seconda circostanza di esclusione sopra indicata.

In buona sostanza, la dichiarazione integrativa era stata comunicata in modo irrituale, quindi la modifica non era valida e la precedente dichiarazione (quella con l’errore) è continuata ad essere l’unica valida. Pertanto l’errore ha continuato ad incidere sulla determinazione della base dell’imposta IVA e vi era così il pericolo per l’accertamento del Fisco

  1. Principio di proporzionalità della Corte di Giustizia Europea

La Corte, pur confermando l’applicazione delle sanzioni al 100%, anche se l’imposta richiesta è stata diminuita, ha disapplicato la norma dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997 (nella versione allora vigente).

La Cassazione ha fatto buon governo del principio cardine enunciato più volte dalla Corte di Giustizia Europea: le sanzioni (anche tributarie) devono essere proporzionali alle circostanze specifiche del fatto.

Per il Supremo Consesso l’applicazione di una sanzione pari ad €93.580,00 è sproporzionale ai fatti sopra narrati (si consideri che il credito era di natura IVA, quindi tributo europeo).

Veniva enunciato il seguente principio di diritto:

In materia d’IVA, la modalità di determinazione della sanzione prevista dall’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 471 del 1997, che ragguaglia ad una forbice dal cento al duecento per cento della differenza, eccede il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione, attesa l’impossibilità di adeguare l’entità minima fissata per tale sanzione alle circostanze specifiche di ogni singolo caso, per cui la citata norma deve essere disapplicata in parte qua, in quanto contraria al diritto comunitario (…) e la sanzione deve essere determinata ragguagliandola alle circostanze specifiche del caso concreto” (Cass. Ord. n. 23506/2018).

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