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Accertamento bancario: per i professionisti non si considerano i prelievi

Non si devono giustificare i prelievi effettuati sul conto del professionista

La Cassazione Penale ha confermato che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, i compensi (prelevamenti) presenti nel conto corrente del professionista non possono essere considerati come reddito in fase di accertamento bancario.

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La fattispecie

Un contribuente veniva indagato per 6 reati tributari e veniva anche richiesto il sequestro di beni del prevenuto. Il Tribunale del riesame limitava il sequestro a solo un reato e diminuiva di molto l’ammontare del sequestro.

Per il Tribunale del Riesame, dopo la Sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 e le modifiche del art. 7-quater D.L. n. 193/2016 (dopo la conversione della Legge n. 225/2016), il legislatore ha voluto escludere completamente la possibilità di effettuare accertamenti bancari su conti correnti di professionisti o di lavoratori autonomi. Tali accertamenti su conti correnti sono rimasti legittimi solo per le imprese.

Tale decisione veniva impugnata in Cassazione dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale.

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La presunzione legale relativa

Tale art. 32, comma 1, n. 2, D.p.r. n. 600/1973 ha in sé una presunzione legale relativa. In altri termini, l’Ufficio deve solo dare prova dei presupposti richiesti dalla norma (“dati ed elementi attinenti rapporti ed alle operazioni” bancarie “acquisiti e rilevati”) e le conseguenze di essi sono già stabilite dalla legge (considerati ricavi o compensi oggetto d’imposta). Tuttavia, essendo una presunzione relativa, la stessa può essere superata con prova contraria (documentale) prodotta dal contribuente (vedi anche news del 21/04/2018).

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La sentenza della Corte Costituzionale

La Consulta, con tale sentenza, ha stabilito l’incostituzionalità di tale art. 32, comma 1, n. 2 del D.p.r. n. 600/1973, ratio temporis, in due elementi:

  1. non vi è più equiparazione tra attività d’impresa ed attività professionale;

  2. il professionista non è obbligato a provare i PRELEVAMENTI dal conto (è incostituzionale la presunzione legale relativa di maggior compensi desumibili dai prelevamenti effettuati dal titolare di reddito di lavoro autonomo).

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La novella legislativa dell’art. 7-quater D.L. n. 193/2016 (dopo conversione legge n. 225/2016)

Il legislatore nell’atto di recepire i principio della sentenza della Corte Costituzionale ha abrogato nell’art. 32, primo comma, numero 2 del D.p.r. n. 600/1973 la parola “o compensi”.

Precisamente: ” Disposizioni in materia di semplificazione fiscale – 1. All’articolo 32, primo comma, numero 2), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: «o compensi» sono soppresse;”.

La decisione della Cassazione

Orbene, la Suprema Corte, con la Sentenza penale n. 44562 del 5 ottobre 2018, ha rigettato la tesi del Tribunale del riesame ed ha confermato che gli accertamenti bancari sono utilizzabili anche sui conti correnti dei professionisti o dei lavoratori autonomi.

L’unico limite è che i prelevamenti presenti nel conto corrente non possono essere presuntivamente considerati dal Fisco come reddito da soggettare ad imposte. Quindi, per giustificare tali prelievi il professionista non deve dare prova analitica della provenienza di tali movimenti. Tale prova analitica sarà, però, pretesa (per superare la presunzione dell’Ufficio) per giustificare i versamenti.

Precisamente: “decreto-legge n. 193 del 2016, (…) che ha eliminato, dal disposto dell’art. 32, comma 1, n. 2), del d.P.R. n. 600 del 1973, il riferimento ai compensi, resta invariata la presunzione legale posta dallo stesso art. 32, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo (…) La base legale della presunzione per i versamenti è rappresentata, infatti, dal secondo periodo del n. 2) del comma 1) dell’art. 32 richiamato, che non opera alcuna distinzione fra le varie categoria di contribuente e non è stato toccato né sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 né dal decreto-legge n. 193 del 2016” (Cass. Pen. 44562/2018).

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