Agenzia delle Entrate RiscossioneDisconoscimento copie prodotte

L’Agente della riscossione può autenticare ruoli e cartelle

Il Riscossore, però, non può autenticare copie degli avvisi delle raccomandate

La Cassazione, con l’ordinanza n. 7736 del 20 marzo 2019, ha continuato con il proprio orientamento che vede il Riscossore come gestore di un pubblico servizio e, quindi, può autenticare atti che detiene in originale o che, per legge, ne è il depositario (come il ruolo). In altri termini, i dipendenti delegati dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione sono paragonati a pubblici ufficiali e, in caso di disconoscimento da parte del contribuente delle copie semplici prodotte in giudizio, possono autenticare le copie disconosciute.

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La fattispecie posta a base della decisione della Cassazione

Una Società contribuente impugnava diverse cartelle tramite estratti di ruolo (oppure tramite l’impugnazione di successiva intimazione di pagamento, dal testo della sentenza questo passaggio non è chiaro). La CTP dava ragione alla Contribuente, ma la CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate e del Riscossore e dichiarava inammissibile il ricorso perché formulato oltre il termine di 60 giorni dalla notifica delle cartelle.

Avverso tale decisione ricorreva per Cassazione la contribuente con due motivi, entrambi relativi:

  • al disconoscimento delle copie semplici prodotte dall’Agente della Riscossione;

  • al mancato ordine del Giudice di esibire gli originali.

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La produzione di copie semplice, l’onere di disconoscerle e la valutazione del Giudice

Nel caso in cui una parte processuale prova le sue ragioni tramite deposito di semplici copie cartacee, sarà onere della parte contro cui tali copie sono usate disconoscerne la loro conformità con gli originali (si veda Cass. n. 1792/2019; Cass. n. 1974/2018 e Cass. n. 8289/2018). In caso di inerzia di tale parte il Giudice le utilizzerà come prova.

L’azione di disconoscimento della conformità delle copie con gli originali, non è altro che una chiara contestazione che, rivolta al Giudice, precisa che le copie prodotte sono completamente diverse da quelle originali. E’ chiaro che in giudizio devono valere solo le prove “vere”.

Anche la Cassazione qui in commento (si veda anche Cass. n. 3540/2019) ribadisce le caratteristiche di tela disconoscimento, che deve essere:

  • CHIARO: netta deve essere la volontà di disconoscere le copie prodotte, perché non conformi all’originale);

  • NON FORMALE: non servono particolari formule o frasi;

  • SPECIFICO: la parte che disconosce deve ben indicare le circostanze di fatto che possono ritenere le copie non conformi agli originali (non basta un generico disconoscimento, si deve indicare l’atto disconosciuto e quali sue parti sono in dubbio);

  • INEQUIVOCO: non vi devo essere dubbi nella volontà di disconoscere quelle specifiche copie per qui precisi elementi.

Tutto ciò, però, può non bastare.

Formulato il disconoscimento, con tutte le sopra indicate caratteristiche, poi si passa alla valutazione del Giudice. Quest’ultimo deve attuare la cosiddetta PROVA DI RESISTENZA.

Il Giudice deve valutare se, anche con le difformità presenti in tali copie semplice, non sia possibile, oppure sia possibile, valutare come prove queste copie semplici, assieme ad altri mezzi come le presunzioni.

Se anche tale valutazione non “salvano” le copie semplici prodotte, il Giudice Tributario DEVE ordinare a chi le ha versate in giudizio di produrre gli originali o le copie autenticate di tali originali.

In caso di mancata produzione di tali documenti richiesti, nel termine stabilito, il Giudice dovrà espungere dal fascicolo della causa tutti i documenti disconosciuti e dichiarare che il Riscossore non ha provato la notifica degli atti impugnati.

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Le modalità per autenticare le copie di originali

L’art. 18, comma 2, del D.p.r. n. 445 del 28 dicembre 2000 individua chiaramente tutti i passaggi:

  • L’autenticazione delle copie può essere fatta dal pubblico ufficiale dal quale è stato emesso o presso il quale è depositato l’originale, o al quale deve essere prodotto il documento;

  • nonché da un notaio, cancelliere, segretario comunale, o altro funzionario incaricato dal sindaco;

  • ELEMENTI DELL’AUTENTICAZIONE: deve indicare la data e il luogo del rilascio, il numero dei fogli impiegati, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita nonché apporre la propria firma per esteso ed il timbro dell’ufficio. Se la copia dell’atto consta di più fogli il pubblico ufficiale appone la propria firma a margine di ciascun foglio intermedio.

L’art. 18, comma 3, del D.p.r. n. 445 del 28 dicembre 2000, in buona sostanza, in caso di autentica di copie, paragona il pubblico ufficiale al responsabile del procedimento o a dipendenti competenti del Gestore di pubblico servizio a cui è rivolta la richiesta.

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Con tali premesse la Cassazione, con l’Ord. n. 7736/2019 (ma si veda anche Cass. n. 8289/2018 e Cass. n. 29974/2017), precisa il proprio orientamento che vede l’Agente della Riscossione come un soggetto incaricato di pubblico servizio e, quindi, i suoi dipendenti, specificatamente autorizzati, possono autenticare copie di:

  • originali detenuti presso il Riscossore (ad esempio le cartelle inviate tramite PEC);

  • documenti che, per legge, ne sono formalmente i depositari (ad esempio gli estratti di ruolo)

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La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha, quindi, confermato (si veda Cass. n. 1792/2019; Cass. n. 1974/2018; Cass. n. 8289/2018) che i dipendenti del Riscossore possono autenticare, ex art. 18 del D.p.r. n. 445/2000, copie di originali in loro possesso o di documenti di cui sono affidatari ex lege.

Il Supremo Consesso ha però concluso escludendo che i dipendenti del Riscossore possano autenticare copie di atti di cui non ne hanno gli originali e non ne sono affidatari per legge, tipo gli avvisi di ricevimento delle raccomandate.

Precisamente: “Tuttavia ritiene questo collegio che, anche tenuto conto di tali decisioni, non si può affermare che l’agente della riscossione, che è parte di un giudizio ed al quale è richiesto di dare prova dell’espletamento di una attività notificatoria, sia consentito di attribuire autenticità agli avvisi di ricevimento, che costituiscono documenti di provenienza dell’ufficio postale(Cass. n. 7736/2019).

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