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L’amministratore (anche di fatto) non risponde dei debiti fiscali della società

Debiti sociali e amministratore, di fatto

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 8811 del 30 marzo 2021, continua con il mutamento del suo orientamento sulla responsabilità dei debiti fiscali della società verso gli amministratori (si veda anche News del 10 marzo 2021).

Per la Cassazione non esiste una responsabilità degli amministratori (anche di fatto) per i debiti fiscali della società perchè non vi è alcuna norma che indichi una sorta di successione o coobbligazione dei debiti tributari, della società, a carico dei suoi amministratori. Tale giudizio è stato basato sull’art. 36 del D.p.r. n. 602/1973, applicabile, però, solo alle imposte sui redditi. (vedi anche la News del 16/03/2021 sulla notifica degli avvisi di accertamento ai soci)

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La fattispecie oggetto dell’ordinanza

L’Agenzia delle entrate aveva notificato ad un contribuente, quale amministratore di fatto di una Società cooperativa a r.l., relativamente all’anno di imposta 2002, un atto di contestazione per omessa tenuta delle scritture contabili e omesso versamento delle ritenute del personale dipendente, nonché due avvisi di accertamento per maggiori imposte Irpeg, Iva e Irap nonché per omesso versamento delle ritenute del personale dipendente.

Avverso i suddetti atti impositivi il contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla CTP di Milano.

Avverso la decisione del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello. La CTR della Lombardia ha rigettato l’appello e, in particolare, per quanto di interesse, ha ritenuto che il contribuente, nel corso del 2002, per tutto il periodo in cui erano state riscontrate le violazioni, era l’amministratore unico e legale rappresentante della società. Inoltre, lo stesso contribuente, anche dopo la cessazione della carica di amministratore della società, aveva, di fatto, continuato nella attività e non aveva rilevanza, quale prova contraria, la sentenza penale di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

Il contribuente proponeva ricorso in Cassazione.

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Le norme in questione

Art. 2495 c.c. (cancellazione della Società)

Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, salvo quanto disposto dal secondo comma.

Decorsi cinque giorni dalla scadenza del termine previsto dal terzo comma dell’articolo 2492, il conservatore del registro delle imprese iscrive la cancellazione della società qualora non riceva notizia della presentazione di reclami da parte del cancelliere.

Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società.”

Art. 36 D.p.r. n. 602/1973 (Responsabilità ed obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci)

I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.

La disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori.

I soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria.

Le responsabilità previste dai commi precedenti sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili.

La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

Avverso l’atto di accertamento è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636. Si applica il primo comma dell’articolo 39”.

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La decisione della Cassazione

Orbene, come sopra indicato la Suprema Corte sta cambiando il proprio orientamento in riferimento ai debiti fiscali delle società, verso gli amministratori.

Salvo il caso in cui la società sia uno strumento artificioso ai fini illeciti dell’amministratore (non pagare imposte, la classica “cartiera”), il proprio legale rappresentante non risponde delle sanzioni e dei debiti tributari della persona giuridica (si veda News del 15/10/2020).

La Cassazione ha fatto corretta applicazione del disposto dell’art. 36 D.p.r. n. 602/1973.

In materia di imposte dirette, la responsabilità degli amministratori è prevista dall’art. 36, d.P.R. n. 602/1973, ma solo per l’ipotesi di messa in liquidazione della società e realizzazione, da parte degli amministratori, di operazioni di liquidazioni nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione (ovvero di occultamento di attività sociali mediante omissione nelle scritture contabili).

La responsabilità dell’art. 36 si tratta, invero, di una responsabilità per obbligazione propria (dell’amministratore) ex lege avente natura civilistica e non tributaria. La norma non pone alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari a carico di tali soggetti, nemmeno allorché la società sia cancellata dal registro delle imprese.

Orbene, quella verso l’amministratore è, in particolare, un credito dell’amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma di natura civilistica, che trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa, ancorché detta responsabilità debba essere accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60, d.P.R. n. 600/1973 (si veda News del 15/10/2020).

Tuttavia, per tale responsabilità civilistica del fare dell’amministratore è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario (art. 36, penultimo e ultimo, comma, del D.P.R. n. 602 del 1973).

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