Prescizione

La prescrizione INPS. Può durare più di 5 anni se c’è dolo

Sospensione prescrizione

L’art. 3 della legge 335 del 1995 ha stabilità che il credito dell’INPS per il pagamento dei contributi si prescrive in 5 anni,  specialmente per quelli della gestione separata (si veda anche la News del 22 gennaio 2020).

La giurisprudenza della Cassazione, inoltre, oramai è consolidata nell’affermare che tale termine di prescrizione non deve essere fatto decorrere (dies a quo) dall’invio all’Agenzia delle Entrate della dichiarazione dei redditi, ma dall’anno in cui tali contributi si dovevano pagare (l’anno precedente a quello dell’invio della dichiarazione).

Tuttavia, tale termine di 5 anni può essere “allungato”, perché sospeso.

L’art. 2941 n. 8 c.c. prevede che il termine di prescrizione sia sospeso se il debitore ha celato il proprio debito con “dolo”. In caso di pagamento dei contributi, per la Cassazione tale “dolo” si configura nella mancata compilazione del QUADRO RR del modello di Unico (è il quadro dove si indicano i contributi da corrispondere).

Quindi, in caso di mancata compilazione di tale QUADRO RR, per l’INPS non decorre il termine fino alla scoperta delle pretese contributive (scoperta del “dolo”). Tale sospensione fa sì che l’INPS possa chiedere il pagamento dei contributi anche oltre i 5 anni (Cass. n. 8419 del 25 marzo 2021)

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Norme di riferimento

Art. 2941 n. 8 c.c. (sospensione per rapporto tra le parti)

“La prescrizione rimane sospesa:

(…)

8) tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto.”

Art. 3, co. 9, legge n. 335/1995

“9. Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati:

(…)

b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.”

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La fattispecie

La Corte d’appello di Torino nel rigettare l’appello dell’INPS ha confermato la sentenza del Tribunale che rigettava la richiesta dell’Istituto del pagamento, per la gestione separata, € 21.601,10, a titolo di contributi derivanti dallo svolgimento di attività professionale di natura occasionale nell’anno 2008.

La Corte territoriale ha accolto l’eccezione di prescrizione proposta dal contribuente, ritenendo che il provvedimento di iscrizione d’ufficio alla predetta gestione contenente la richiesta contributiva fosse intervenuto dopo oltre cinque anni dalla scadenza del termine di pagamento del saldo dei contributi 2008 (16 giugno 2009) con conseguente estinzione per prescrizione del credito vantato dall’Inps;

La Corte d’appello, quindi, respingeva l’argomentazione dell’istituto previdenziale circa la sussistenza di un termine di sospensione della prescrizione (art. 2941, n.8 cod civ.) per non avere il professionista provveduto a compilare, in sede di dichiarazione dei redditi, il quadro RR del modello Unico in cui vengono dichiarati i redditi derivanti dall’esercizio occasionale di attività professionale.

Per la cassazione della sentenza di secondo grado ricorreva per Cassazione l’INPS.

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La decisione della Corte

Sul punto la Suprema Corte ha statuito che:

Nel caso in esame, la Corte territoriale, ha correttamente affermato la decorrenza del dies a quo della prescrizione quinquennale dalla data di scadenza del credito, ma, nel contempo ha omesso di applicare la causa di sospensione (art. 2941, n. 8 cod.civ.), che avrebbe dovuto considerarsi ricorrente secondo l’insegnamento dettato dalla giurisprudenza di questa Corte;

La Corte d’appello fonda il riconoscimento del decorso della prescrizione estintiva del credito sul fatto che la mancata denuncia del reddito non equivale a un doloso e preordinato occultamento del debito contributivo né implica un doloso e preordinato occultamento del debito contributivo da corrispondere, atteso che la mancata compilazione del modello RR può essere sempre scongiurata dall’Inps, attraverso i normali controlli amministrativi, attivati anche avvalendosi dell’Agenzia delle Entrate; la decisione si basa, pertanto, su un errato fondamento argomentativo e va quindi, emendata in conformità a quanto stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte” (Cass. 8419/2021).

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