Avvisi di accertamento e di addebitoCancellazione SocietàPenale

Per le fatture (soggettivamente) false, il destinatario è sempre in buona fede

fatture false e responsabilità del terzo

La Suprema Corte, con l’Ordinanza n. 22969 del 11 agosto 2021, ha confermato l’onere probatorio in capo all’Agenzia delle Entrate, in riferimento di fatture soggettivamente inesistenti, sulla responsabilità del terzo ricettore delle fatture (soggettivamente) inesistenti (si veda anche News del 24 gennaio 2021).

Per fatture oggettivamente inesistenti, ci si riferisce alla stampa di documenti fiscali (fatture) che non sono collegate ad obbligazione (rapporto) tributaria (non vi è stata compravendita di merce, non vi è stata alcuna prestazione di servizio).

Per fatture soggettivamente inesistenti, ci si riferisce alla stampa di documenti fiscali (fatture) che sono collegate ad obbligazione (rapporto) tributaria, ma emessi da un soggetto estraneo a tale obbligazione (rapporto) tributaria.

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La fattispecie

La Società X (soggetto terzo che ha ricevuto le fatture false) impugnava un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2007, con il quale venivano recuperati a tassazione plusvalenze non esenti derivanti dalla liquidazione della società partecipata Y e l’indebita deduzione di costi risultanti dalla contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

La CTP di Bergamo accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente confermando la ripresa a tassazione della plusvalenza realizzata a seguito della liquidazione della società partecipata Y annullando quella relativa alla ritenuta indeducibilità dei costi e alla indetraibilità dell’IVA.

Tanto l’ufficio che la contribuente impugnavano la sentenza per i profili di reciproca soccombenza e la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello dell’ufficio e il punto 2 dell’appello incidentale della contribuente, sul presupposto che l’avviso di accertamento non fornisse elementi di prova a carico del contribuente nella partecipazione alla frode fiscale.

Per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso.

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Come funziona l’onere probatorio

In buona sostanza, in caso di accertamento fiscale basato su fatture inesistenti, “prima” deve attivarsi l’Agenzia delle Entrate.

Ha lei l’onere di provare:

  1. La fittizietà del fornitore che ha emesso fatture false;
  2. L’oggettiva consapevolezza dell’operazione di evasione fiscale del terzo soggetto che ha ricevuto le fatture false (il terzo sapeva della frode).

Tali prove possono essere raggiunte anche con presunzioni semplici: prive cioè delle caratteristiche: gravi, precisi e concordanti.

Solamente dopo che l’Agenzia ha dedotto tali “prove” (elementi probatori) nell’atto d’accertamento, in riferimento al coinvolgimento del terzo nella frode fiscale, sorge l’onere in capo a tale terzo di difendersi con prova contraria, con oggetto l’aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad una evasione fiscale.

Se, però, l’Agenzia delle Entrate non “prova” il coinvolgimento del Terzo, quest’ultimo è sempre presunto “innocente”, perché in buona fede ed estraneo alla frode. Non può essere gli attribuita alcuna violazione tributaria relativa alle fatture false

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La decisione della Corte

La pronuncia della Cassazione è importante perché concerne situazioni molto diffuse nella prassi.

In presenza di cessioni e/o prestazioni realmente avvenute, se il fornitore ha commesso delle violazioni (omesso versamento d’imposte, assenza di struttura idonea eccetera) l’Agenzia ritiene responsabile anche l’acquirente, riprendendo a tassazione l’Iva da lui pagata e detratta.

Quindi non è corretta la prassi dell’Agenzia che subito chiede che l’acquirente (terzo) di fornire la prova della sua buona fede (che normalmente non viene riconosciuta dagli Uffici con la conseguente necessità di intraprendere un contenzioso), senza prima dare loro la prova del coinvolgimento del terzo alla frode.

La sentenza, oltre a ribadire che l’onere probatorio in queste ipotesi incombe sul fisco e che occorre tutelare la buona fede del contribuente acquirente, ha condannato l’Agenzia, che ha proseguito il contenzioso nonostante la ripetuta soccombenza nei gradi di merito, al pagamento delle spese legali.

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