Avvisi di accertamento e di addebitoIn generale sugli atti tributariSenza categoria

Il Fisco ha l’onere di provare gli elementi positivi del reddito, oggetto dell’accertamento

Onere della prova e fisco

La Suprema Corte, con la Sentenza n. 12127 del 14 aprile 2022, ha chiarito un principio chiaro nel mondo del diritto: chi fa valere un suo diritto ne deve provare i fatti.

Sarà quindi l’Agenzia delle Entrate, ex art. 2697 c.c., che dovrà provare le circostanze fiscali che sono a base della sua ripresa, oggetto dell’accertamento. E’ Agenzia delle Entrate il titolare del diritto contestato dal contribuente.

In buona sostanza, anche se è il contribuente che “inizia” la causa impugnando l’accertamento, la discussione verterà sempre sull’esistenza oppure la non esistenza del diritto del fisco ad avere maggio imposta (obbligazione tributaria).

Nel caso in cui l’Agenzia, con l’avviso di accertamento, non abbia provato TUTTI i fatti che costituiscono il suo diritto ad avere le ulteriori imposte, il ricorso del contribuente dovrà essere accolto.

Questo è il punto centrale del principio della domanda che è perno di tutto il processo, anche quello tributario.

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Tuttavia, la Cassazione, su tale punto, ha svolto un ulteriore distinguo, non basato su norme.

Per la Suprema Corte, l‘onere di provare gli elementi positivi che formano il reddito sono a carico dell’Agenzia delle Entrate, invece l’onere di provare gli elementi negativi che concorrono a formare lo stesso reddito sono, invece, a carico del contribuente.

Se si accettasse tale ultimo passaggio, è come considerare elementi indivisibili che formano il reddito societario come due entità distinte.

Il reddito d’impresa è un valore neutro dato dalla contrapposizione di componenti positivi e negativi. Tali due componenti hanno una concezione unitaria nella determinazione del reddito d’impresa.

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L’art. 2697 c.c.

L’art. 2697 c.c.: Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda

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La fattispecie oggetto della sentenza

Con avviso di accertamento, la Direzione provinciale rettificò, a fini Ires, Irap e Iva, la dichiarazione mod. unico SC 2006.

Pertanto, veniva notificato alla Società un accertamento induttivo, adottato in ragione della inaffidabilità delle scritture contabili e l’assenza di riscontro documentale o contabile delle giustificazioni addotte.

Alla stregua di ciò si era provveduto a determinare come maggiori ricavi, il valore delle rettifiche negative, mentre si era ritenuto che quelle positive ricadessero nelle presunzione semplicissime (senza che siano supportate da requisiti di gravità, precisione e concordanza: artt. 2727 c,c, e art. 2729 c.c.)

Impugnato il predetto atto dalla contribuente, la C.T.P. accolse integralmente il ricorso, mentre la C.T.R., adita dall’Ufficio, accolse il gravame limitatamente.

Avverso questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, mentre la contribuente si è difesa con controricorso.

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La decisione della Cassazione

Come sopra anticipato, la Suprema Corte ha applicato sui generis il principio cardine della domanda giudiziaria dell’art. 2697 c.c., precisamente:

Venendo al merito, deve osservarsi come, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, opera il principio secondo cui, se è vero che spetta all’amministrazione finanziaria – nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova – dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della (maggiore) pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, è altrettanto vero che il contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano, sicché, a proposito del reddito d’impresa, spetta all’ufficio finanziario provare le componenti attive del maggior imponibile determinato e al contribuente – il quale intenda contestare tale determinazione sostenendo, ad esempio, l’esistenza di costi maggiori di quelli considerati – documentare che essi esistono e sono inerenti all’esercizio cui l’accertamento si riferisce

(…)

La corretta applicazione del principio concernente la distribuzione dell’onere della prova dettato dall’art. 2697 cod. civ. impone quindi al giudice di merito di accertare, in primo luogo, se la pretesa tributaria dedotta in giudizio derivi dall’attribuzione al contribuente di maggiori entrate oppure dal disconoscimento di costi o oneri deducibili esposti dallo stesso, perché solo l’esatta individuazione della parte tenuta per legge a dare la prova afferente consente al giudice di porre a carico di essa le conseguenze giuridiche derivanti dall’accertata inosservanza di detto onere.” (Cass. n. 12127/2022)

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