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Compensazione imposte, non serve il modello F24

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 13931 del 31 maggio 2018, ha espresso un importante principio di diritto in tema di compensazione di imposte tramite il modello F24. Per la Suprema Corte, se il credito esiste e non è contestato dall’Amministrazione finanziaria, l’uso di esso in compensazione può avvenire anche senza il modello F24.

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La fattispecie oggetto della pronuncia

Un contribuente impugnava una cartella emessa a seguito di procedimento automatizzato ex art. 36bis D.p.r. n. 60/1973, per imposte Irpef ed Irap.

Il ricorrente contestava il fatto che la dichiarazione, oggetto di controllo, esprimeva un importo a credito e quindi, essendo certo tale credito, l’omessa compilazione del modello F24 (per la compensazione) non comportava un omesso versamento in termini sostanziali. La CTP dava ragione al cittadino, ma in appello la CTR ribaltava il verdetto affermando che solo con la compilazione del modello F24 e il suo regolare invio era possibile individuare la certa volontà del contribuente di utilizzare tale credito in compensazione. Per la CTR, in buona sostanza, la compilazione del modello F24 non è una semplice formalità, ma è essenziale per poter compensare il credito tributario.

Avverso la sentenza della CTR ricorreva in cassazione il cittadino e la Suprema Corte gli dava ragione decidendo sul merito della vertenza senza rinvio al giudice di secondo grado.

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Pagamenti con il modello F24

Opportuno sembra subito precisare le modalità di pagamento o compensazione tramite il modello F24. Ciò per meglio comprendere la sentenza qui in commento.

Con il Decreto Fiscale collegato alla legge di bilancio, art. 11, comma 2, D.L. n. 66/2014 è stata introdotta la regola dell’obbligo di utilizzo dell’F24 online per i pagamenti superiori ad €1.000,00.

Quindi, dal 1 ottobre 2014 tutti i contribuenti dovevano pagare i tributi (superiori ad €1.000,00), oppure compensarli, solamente con sistemi informatici: utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia delle Entate (Entratel, Fisconline), nonché tramite intermediari abilitati. Pertanto, i cittadini (con partita IVA oppure senza) dovevano “passare” dagli istituti di credito conferendogli delega irrevocabile per il pagamento dei tributi. L’invio telematico del modello F24 era obbligatorio anche in caso di compensazione per importi superiori ad €1.000,00, quindi con importo pari a zero.

Tuttavia, tramite la conversione del D.L. n. 163/2016 (collegato alla Legge di Stabilità del 2017), è stata abolita tale obbligo di utilizzo dei sistemi informatici per il pagamento con il modello F24.

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Pertanto, ad oggi è possibile pagare con modelli F24 cartacei con le seguenti modalità e limiti

Contribuenti non titolari di partita Iva

I contribuenti non titolari di partita Iva, che non sono obbligati al pagamento in via telematica, possono presentare il modello F24 in forma cartacea presso:

Il versamento può essere effettuato in contanti o con i seguenti sistemi:

Contribuenti titolari di partita Iva

Tutti i titolari di partita Iva hanno l’obbligo di presentare il modello F24 esclusivamente con modalità telematiche.

I versamenti con modalità telematiche possono essere effettuati:

direttamente:

tramite gli intermediari (professionisti, associazioni di categoria, Caf, ecc.) che:

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La decisione della Cassazione

La suprema Corte annulla la cartella di pagamento formulando 2 passaggi:

  1. la previsione legislativa, art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 241/1997 (modalità di versamento mediante delega).

    La Cassazione subito precisa che tale art. 19, comma 3, impone l’utilizzo del modello F24 per la compensazione dei crediti: “La delega deve essere conferita dal contribuente anche nell’ipotesi in cui le somme dovute risultano totalmente compensate ai sensi dell’Art. 17. La parte di credito che non ha trovato capienza nella compensazione è utilizzata in occasione del primo versamento successivo”. Pertanto, il contribuente avrebbe errato a non utilizzare il modello F24 per compensare i crediti tributari.

  2. L’evoluzione giurisprudenziale: tuttavia la Cassazione a Sezioni Unite n. 13378/2016 ha individuato diversi termini per poter correggere le “obbligazioni tributarie” e, per le compensazioni di crediti realmente esistenti, per la Suprema Corte non vi è limite. Possono essere vatti valere anche in processo.

    Precisamente: “ Va, tuttavia, tenuto conto del fatto che, con la sentenza n. 13378 pronunciata a Sezioni Unite il 7 giugno 2016, la Corte di legittimità ha enunciato il seguente principio di diritto “La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. Il rimborso dei versamenti diretti di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto,commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria”.Ne consegue che, poichè, nel caso che occupa, l’amministrazione non ha contestato l’esistenza del credito portato in compensazione, la pretesa del contribuente fatta valere in giudizio è fondata, benchè egli non abbia dichiarato con l’apposito modello l’esistenza del credito stesso.” (Cass. n. 13931/2018, si veda anche news del 30/6/2018 e del 9/6/2018)

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