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La dilazione non blocca l’impugnazione della cartella

Per la Suprema Corte, ordinanza n. 20962 del 01 ottobre 2020, il pagamento della cartella, anche dilazionata, non impedisce l’impugnazione in giudizio della stessa. Il pagamento coatto (forzoso) non concilia con la volontà di rinunciare all’impugnazione (vedi anche News del 22/6/2018).

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La fattispecie

Una società contribuente ha impugnato una cartella di pagamento, quale responsabile in solido per debito del terzo. Successivamente, nelle more del giudizio, provvedeva al pagamento degli importi, ma indicava espressamente, nel corso del giudizio, che il pagamento era dovuto solamente ad arrestare l’eventuale riscossione.

La CTP dichiarava l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere e la CTR rigettava l’appello della società contribuente, per la stessa motivazione.

Precisamente la CTR riteneva che il versamento effettuato dalla contribuente aveva natura di adempimento di obbligazione pecuniaria, non revocabile, con conseguente improcedibilità del giudizio per carenza di interesse, salva l’istanza di rimborso del contribuente.

La società contribuente proponeva ricorso in Cassazione.

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La decisione della Cassazione

La Suprema Corte fa un distinguo sul pagamento voluto (si può dire libero) e quello coatto (costretto per non subire conseguenze come il pignoramento). Successivamente precisa, anche per la materia tributaria, il principio che il pagamento NON spontaneo (coatto) non può provocare la cessazione della materia del contendere.

Precisamente:

E’ quindi opportuno, quando si emette una istanza di dilazione di indicare, anche nella stessa istanza, la volontà di voler dilazionare la solo fine di evitare azioni esecutive e/o cautelari del Riscossore. Precisando, altresì, che l’istanza stessa non rappresenta acquiescenza del debito

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