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Accesso dell’Agenzia. Ok per locali promiscui anche senza gravi indizi di reato

La Cassazione, con l’ordinanza n. 7723 del 28 marzo 2018, ha statuito e precisato la netta distinzione tra locali adibiti ANCHE ad abitazione del contribuente ed abitazione adibita ESCLUSIVAMENTE ad abitazione provata del contribuente, indicati nell’art. 52, primo e secondo comma, del D.p.r. n. 633/1972 (richiamato anche dall’art. 33, comma primo, D.p.r. n. 600/1973).

Precisamente, in riferimento all’attività di accesso ed ispezione fiscale, serve:

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La fattispecie

Un contribuente impugnava un avviso di accertamento, in particolare, per violazione dell’autorizzazione a svolgere accessi ed ispezioni in locali che il ricorrente adibiva anche ad abitazione privata.

La CTP accoglieva il ricorso perchè, appunto, nel provvedimento del Procuratore della Repubblica non vi erano indicati i gravi indizi di reato che giustificavano tale accesso (art. 52, secondo comma, del D.p.r. n. 633/1972). La CTR confermava la sentenza del Giudice Provinciale.

Ricorreva in Cassazione l’Agenzia delle Entrate evidenziando che nel caso in cui i locali, che hanno subito l’accesso degli ispettori, erano adibito ANCHE ad abitazione privata del ricorrente (come nella fattispecie), non serviva la motivazione sui gravi indizi, ma bastava solo il provvedimento dell’autorità penale.

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La decisione

La Cassazione conferma pienamente la tesi sostenuta dall’Ufficio e cassa la sentenza della CTR.

Per la Suprema Corte due sono le fattispecie considerate dall’art. 52 del D.p.r. n. 633/1972. Distinte ed individuate dai dal comma primo e dal comma secondo.

In sostanza: “In tema di accertamento dell’IVA, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall’art. 52, primo e secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n, 633, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria (…) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazione soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo” (Cass. Ord. n. 7723 del 28 marzo 2018).

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