Conti correnti

La cointestazione del conto corrente non trasferisce, di per sé, la titolarità del conto

L'Agenzia non può considerare considerare a reddito il conto cointestato

La Cassazione, con l’ordinanza n. 21963 del 3 settembre 2019, ha precisato che, in un rapporto di conto corrente, nei confronti della banca il correntista non è titolare delle somme versate, ma di diritti di credito verso la banca stessa.

Inoltre, in caso di comunicazione diretta alla banca di cointestazione del conto corrente non vi è il trasferimento della titolarità dei crediti del conto, ma solo legittimazione ad operare su tale conto.

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La fattispecie oggetto della sentenza

Il Tribunale rigettava la domanda risarcitoria proposta dai fratelli G, C e A (figli della defunta GIA) nei confronti dei Sig.ri A, A e S.

I fratelli G, C e A chiedevano al Tribunale di far condannare i Sig.ri A, A e S perché si erano appropriati di somme relative al saldo attivo e di diversi titoli intestati alla defunta loro madre Sig.ra GIA.

I fratelli Sig.ri A, A e S, nel costituirsi in primo grado, eccepivano che la defunta GIA (loro zia), quando era ancora in vita, aveva deciso di cointestare tali posizioni bancarie a loro. Quindi non vi era stato alcuna appropriazione indebita di somme, ne alcun danno da risarcire. Per loro tali somme dovevano considerarsi in comunione pro-indiviso.

Formulavano appello a tale sentenza del Tribunale i fratelli G, C e A e resistevano, anche con appello incidentale, i Sig.ri A, A e S.

I fratelli G, C e A eccepivano che la cointestazione del conto corrente era avvenuta con atto unilaterale (modulo della banca) della loro madre (dove vi indicava i nomi delle nipoti A, A e S e poi lo comunicava alla banca). Non vi era mai stata una vera è propria stipula di un contratto per tale cointestazione. Si costituiva anche la società d’assicurazione AL e chiedeva inammissibilità, nonché l’infondatezza dell’appello.

La Corte d’Appello, però, confermava la sentenza del Tribunale.

I fratelli G e A ricorrevano in Cassazione per la riforma della sentenza della Corte d’appello con tre motivi:

  1. la sentenza della Corte d’appello era nulla perché aveva solo una apparente motivazione, in realtà essa non era motivata;

  2. I fratelli G e A nell’atto d’appello non avevano esposto un problema di volontà della defunta madre GIA, ma avevano posto il problema se la cessione di uno o più crediti bancari, da un precedente titolare a successivi contitolari, possa avvenire con solo un atto unilaterale ovvero debba avvenire con contratto (si ricorda che la defunta GIA aveva cointestato il conto tramite la compilazione di un semplice modulo bancario, dove vi ha indicato i nomi delle nipoti A, A e S, e poi lo aveva comunicato alla banca);

  3. illegittimità della sentenza perché anche considerando l’atto di comunicazione della cointestazione come un contratto, esso mancava dell’elemento essenziale della causa come previsto dall’art. 1325 c.c.

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Gli articoli in questione

L’art. 1334 c.c.: ”Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati”.

I contratti unilaterali (o con obbligazione a carico di una sola parte) sono quei contratti che, pur implicando l’esistenza di due parti e di due distinte dichiarazioni di volontà, generano l’obbligo della prestazione per una sola parte, che si trova nella posizione esclusiva di debitore.

Artt. 1260-1267 c.c.: La cessione del credito è un contratto mediante il quale il creditore (cedente) trasferisce ad altro soggetto (cessionario) il proprio diritto di credito. Per effetto della cessione, si sostituisce un nuovo creditore a quello originario e, pertanto, si verifica un caso di successione a titolo particolare nel credito.

Art. 1325 c.c.: I requisiti del contratto sono: 1) l’accordo delle parti; 2) la causa; 3) l’oggetto; 4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”.

Tali elementi sono necessari perché esistano i negozi giuridici, inoltre per i negozi giuridici patrimoniali (tra cui i contratti) si richiede anche l’elemento dell’OGGETTO.

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La decisione della Cassazione

Come sopra anticipato la Cassazione, nel dare ragione agli attori (i fratelli G e A, figli della defunta GIA) ha precisato due importanti punti in riferimento al rapporto con l’istituto di credito:

  1. Una volta versate le somme nel conto corrente, le stesse non appartengono più al soggetto intestatario del credito ma “passano” alla Banca. L’intestatario del conto diventa titolare di un credito verso la Banca per lo stesso importi delle somme versate.

  2. La proprietà di tale titolo di credito verso la banca non può essere trasferito con un semplice contratto unilaterale ex art. 1334 c.c. (come nella specie tramite la compilazione dei moduli della banca con ivi indicato i nomi dei nipoti A, A e S.). Essendo il rapporto con la banca un contratto con obbligazione a carico di tutte le parti (cioè sinallagmatico) il suo trasferimento ad altri soggetti (tipo le nipoti A, A e S.) deve avvenire con contratto di cessione. Quindi con accordo di tutte le parti coinvolte.

Basandosi su tali due principali motivi la Suprema Corte ha statuito che le nipoti A, A e S. non erano diventate proprietarie del diritto di credito verso la banca e, quindi, tutte le operazioni poste in essere sul conto della defunta GIA erano illegittime.

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Un risvolto della sentenza sulle questioni tributarie

Basandosi su tale sentenza della Cassazione, si potrebbe contestare all’Ufficio, nel caso in cui tentasse di considerare a reddito anche i conti correnti cointestati con altri soggetti, che se non vi è un trasferimento tramite contratto di cessione, non possono essere considerate le somme ivi previste come di proprietà del contribuente accertato.

In buona sostanza la semplice cointestazione del conto non equivale a reddito per tutte le somme ivi presenti per il contribuente accertato. 

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