Agenzia delle Entrate RiscossioneMotivazione atti

L’avviso di accertamento NON può essere (ri)motivato nel processo

L'accertamento induttivo vale solo per i Tassativi casi previsti dalla legge

La Cassazione, con l’Ordinanza n. 13191 del 16 maggio 2019, ha confermato e precisato che l’avviso di accertamento formulato e notificato dall’Agenzia delle Entrate non può essere ri-motivato nel corso del processo. In buona sostanza, la motivazione dell’atto (che è il presupposto della pretesa impositiva) non può mutare successivamente, salvo l’eccezionalità degli avvisi integrativi (art. 43, comma 3, D.p.r. n. 600/1973), basati su fatti nuovi non conosciuti prima dall’Agenzia delle Entrate.

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La fattispecie oggetto della sentenza

L’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento verso una società di capitali, oramai fallita.

Tale avviso era di tipo induttivo (art. 39, comma 2, D.p.r. n. 600/1673, si veda infra), specificatamente perché la società non aveva presentato la relativa dichiarazione dei redditi (art. 39, comma 2, let. a, D.p.r. n. 600/1673).

L’avviso, però, veniva impugnato dalla Curatela, principalmente, perché immotivato.

Il presupposto posto a base dell’avviso di accertamento induttivo era errato: la società aveva regolarmente presentato la relativa dichiarazione dei redditi.

Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate che dava atto della corretta e tempestiva presentazione della dichiarazione dei redditi della Società fallita. Essa sosteneva, però, la legittimità dell’avviso di accertamento induttivo (lo dichiara però come un avviso di accertamento analitico-induttivo), perché da tale documentazione fiscale non era assolutamente coerente e chiaro con le effettive perdite subite. Tali ingiustificate perdite rendevano corretto ed idoneo un accertamento induttivo, con ricostruzione indiretta dei ricavi della società.

L’Ufficio affermava che “la conseguente adozione del metodo induttivo, senza che possa poi considerarsi consentito contestare le modalità con cui tale forma di accertamento era stata eseguita, essendo concessa, “in linea di principio” all’Amministrazione “un’ampia facoltà di scelta del modus operandi, che può manifestarsi anche nell’accertamento cosiddetto analitico-induttivo” (Cass. n. 13161/2019, pag. 5)

La CTP dava ragione alla Curatela, ma la CTR, anche se nella motivazione concordava con le ragioni della contribuente, con il PQM accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate riformando la sentenza della CTP.

La Curatela ricorreva in Cassazione, la quale (escludendo il semplice errore materiale – oggetto di azione di revocazione) annullava la sentenza della CTR e rinviava la causa al Giudice di secondo grado.

Il nuovo collegio della CTR confermava le ragioni della Curatela ed annullava l’avviso di accertamento.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva alla Suprema Corte per la cassazione della seconda pronuncia della CTR.

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L’accertamento induttivo

Tale tipologia di accertamento è prevista dall’art. 39, comma 2, D.p.r. n. 600/1973.

L’accertamento induttivo è formato da un procedimento logico diretto a costruire l’imponibile globale senza analizzare le singole partite semplici, bensì ricostruendo tutte le notizie, le prove ed i dati, anche extracontabili, comune raccolti.

In buona sostanza, si distacca da tutta la documentazione fiscale del controllato e ricrea il reddito da “zero”.

Questa rettifica induttiva, essendo un potere speciale dell’Agenzia delle Entrate, può essere utilizzato solamente nei TASSATIVI casi previsti dalla norma:

a) quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella

dichiarazione;

[b) abrogato]

c) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;

    1. quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica. Le scritture ausiliarie di magazzino non si considerano irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico e dei costi specifici imputati nelle schede di lavorazione ai sensi della lett. d) del primo comma dell’art. 14 del presente decreto;

d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell’articolo 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;

d-ter) in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, nonché di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al 15 per cento, o comunque ad euro 50.000, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati

in dichiarazione.

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La decisione della Cassazione

Come sopra anticipato, la Cassazione ha ribadito che l’avviso di accertamento non può essere integrato nella sua motivazione in fase di processo. Precisamente:

  • In sede di redazione dell’avviso di accertamento, l’Ufficio finanziario ha rivendicato il proprio diritto di procedere ad accertamento induttivo in conseguenza della omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte della contribuente società, affermazione poi risultata pacificamente errata. Occorre allora ricordare che non è consentito all’Ente impositore invocare in giudizio ragioni, che si ritengono utili ad assicurare fondamento alla pretesa tributaria, diverse da quelle indicate nell’atto impositivo”.

  • l’Ente impositore non può avanzare in giudizio pretese diverse od ulteriori rispetto a quelle indicate nell’atto impositivo, rimanendo salvo il potere di emettere ulteriori atti di accertamento, fondati su fatti nuovi, nei limiti temporali consentiti dalla legge”

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