In generale sugli atti tributari

L’Agenzia delle Entrate non può intervenire, di sua iniziativa, nel processo

Intervento e chiamata di terzo

La CTP di Torino, con la sentenza n. 912 del 28 ottobre 2021 (rifacendosi alla pronuncia della Cassazione n. 29798/2019) ha statuito che l’Ente impositore non può intervenire, in un processo tra contribuente e Riscossore, di sua iniziativa.

E’ ammesso l’intervento dell’Agenzia delle Entrate solo se il Riscossore ha tempestivamente chiesto al Giudice di integrare il contraddittorio facendo intervenire l’Ente creditore.

Per tale filone giurisprudenziale, se il Riscossore non ha preventivamente chiesto l’autorizzazione al Giudice a far intervenire altro soggetto pubblico nel processo, l’Agenzia non può legittimamente diventare parte del processo di sua iniziativa (vedi anche News del 23/4/2021).

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Fattispecie oggetto dell’ordinanza

Con tempestivo ricorso un contribuente proponeva impugnazione avverso gli atti di pignoramento dei crediti verso terzi, nonché avverso cartelle ed avvisi.

Tra i diversi motivi d’impugnazione vi era anche la mancata notifica delle cartelle e degli avvisi posti a base degli atti di pignoramento. Tali atti esecutivi, quindi, erano i primi atti con cui il contribuente veniva a conoscenza della pretesa tributaria.

Si costituiva il Riscossore che contestava tutte le deduzioni avversarie eccepiva la corretta notifica delle cartelle e si dichiarava non legittimato per gli avvisi di accertamento immediatamente esecutivi.

Tuttavia, l’Agente della Riscossione non chiedeva, tempestivamente (entro 60 giorni dalla ricezione del ricorso del contribuente) l’autorizzazione al Giudice di allargare il contraddittorio tramite la chiamata in causa dell’Agenzia delle Entrate.

Interveniva successivamente e volontariamente l’Agenzia delle Entrate con propria memoria.

In risposta a tale costituzione il contribuente depositava memoria illustrativa con la quale non accettava il contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, perché “inserita” nel processo in modo illegittimo, perché in violazione dell’art. 23, co. 3 , del D.Lgs. n. 546/1992.

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Le norme in questione

Art. 14, co. 3, co, 4 e co. 5, D.Lgs. n. 546/1992

“3 Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso“;

4. Le parti chiamate si costituiscono in giudizio nelle forme prescritte per la parte resistente, in quanto applicabili”

(…)

“5. I soggetti indicati nei commi 1 e 3 intervengono nel processo notificando apposito atto a tutte le parti e costituendosi nelle forme di cui al comma precedente .

Art. 23, co. 3, D.Lgs. n. 546/1992: “3. Nelle controdeduzioni la parte resistente espone le  sue  difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal  ricorrente  e  indica  le prove di  cui  intende  valersi,  proponendo  altresi’  le  eccezioni processuali  e  di  merito  che  non  siano  rilevabili  d’ufficio  e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa”.

Art. 106 c.p.c. (intervento su istanza di parte)

Ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita”.

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La decisone della CTP

Come sopra anticipato, la CTP di Torino si è rifatta ad una precedente pronuncia della Cassazione (n. 29798/2019), la quale affermava che:

  1. Non esiste un litisconsorzio necessario (la necessaria presenza in giudizio di più parti) tra l’Ente Creditore ed il Riscossore, qualora il giudizio sia promosso da quest’ultimo o nei confronti dello stesso.
  2. Non è rilevante che la causa tra contribuente e Riscossore abbia ad oggetto, non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l’esistenza stessa del credito, posto che l’eventuale difetto del potere di agire o di resistere in ordine a tale accertamento comporta l’insorgenza solo di una questione di legittimazione, la cui soluzione non impone la partecipazione al giudizio dell’ente.
  3. Vi è, invece, un obbligo in capo al Riscossore nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti da lui compiuti. Pertanto, il Riscossore deve chiamare in causa l’ente creditore interessato. In mancanza, risponde delle conseguenze della lite.
  4. Dunque, la chiamata in causa dell’ente creditore deve essere ricondotta all’art. 106 cod. proc. civ., secondo cui ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita.
  5. Pertanto, la chiamata in causa dell’ente creditore deve avvenire per iniziativa dell’agente di riscossione e previa autorizzazione del giudice.
  6. Autorizzazione rimessa all’esclusiva valutazione discrezionale del giudice del merito.

Veniva quindi emesso il seguente principio di diritto:

Nelle cause di opposizione all’esecuzione forzata di crediti erariali mediante iscrizione a ruolo, non sussiste litisconsorzio necessario fra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, non assumendo rilievo la circostanza che l’opposizione abbia ad oggetto, non la regolarità o la ritualità degli atti esecutivi, ma l’esistenza stessa del credito. Infatti, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999 (Riordino del servizio nazionale della riscossione), spetta al concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, chiamare in causa l’ente creditore interessato” (Cass. n. 29798/2019).

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Applicando tale principio la CTP di Torino ha escluso l’intervento dell’Agenzia delle Entrate perché il suo intervento non era stato autorizzato dal giudice su specifica richiesta del Riscossore, ex art. 106 c.p.c.

Tuttavia, l’illegittimità dell’intervento deriverebbe anche dall’irregolare costituzione dell’Ente creditore: non deve semplicemente depositare la memoria, ma deve prima notificare l’atto di costituzione e poi depositarlo (art. 14, co. 3 e 5, D.Lgs. n. 546/1992).

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