60 giorniSentenza

Mancata indicazione del Giudice, l’appello è lo stesso ammissibile

Appello ed indicazione del Giudice

La Cassazione, con l’ordinanza n. 3090 del 01 febbraio 2022, ribalta il significato letterale dell’art. 53 D.Lgs. n. 546/1992: se nell’atto d’appello non vi è l’indicazione della commissione tributaria regionale a cui è diretto, l’impugnazione è inammissibile. Per la Suprema Corte, invece, l’appello che presenta tale carenza è ammissibile, salvo che l’appellato non dimostri di aver subito un pregiudizio.

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L’articolo di riferimento

Art. 53, co. 1, D.Lgs. n. 546/1992: “1. Il ricorso in appello contiene l’indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici dell’impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell’art. 18, comma 3”.

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La fattispecie oggetto della sentenza

La CTR dichiarava inammissibile l’appello dell’Agenzia delle Entrate e confermava la sentenza della CTP che aveva statuito la illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato.

La CTR chiarava inammissibile l’appello dell’Ufficio, perché era gravemente carente di uno dei requisiti fondamentali del processo. Tale carenza è espressamente prevista, come causa di inammissibilità, dall’art. 53 D.Lgs. n. 546/1992: mancanza o assenza assoluta dell’indicazione della CTR.

Avverso tale sentenza ricorreva in Cassazione l’Agenzia delle Entrate per illegittima applicazione di tale art. 53 anche in considerazione delle sentenze della Corte Costituzionale n. 189/00 e n. 520/02.

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La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha emanato un principio di diritto che riporta quanto sopra allegato. Tuttavia, la decisione della Suprema Corte sembra “oltre i limiti”.

La giurisprudenza non dovrebbe andare oltre al testo lettele chiaro della norma, altrimenti diventerebbe un legislatore (tuttavia ci viene da pensare se tale principio sarebbe stato lo stesso emesso se passibile di tale inammissibilità fosse stato il contribuente).

La Cassazione, rifacendosi ai precedenti della Corte Costituzionale (n. 189/00 e n. 520/02), ha affermato che tale inammissibilità è applicabile solo se controparte dimostra di aver subito un pregiudizio nella sua difesa derivato dalla errata o assente indicazione del giudice.

Precisamente:

“(..) i contribuenti hanno dato prova di non aver subito pregiudizio alcuno dalla difettosa indicazione del giudice dell’appello che va quindi considerata quale mera irregolarità dell’atto di gravame il quale ha invero raggiunto anche lo scopo di consentire alla controparte di rispondere a quanto in esso nella sede a ciò destinata” (Cass. n. 3090/2022)

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Se si vuole continuare con tale principio, allora anche il contribuente, nel caso in cui impugnasse l’atto oltre il termine perentorio di 60 giorni, potrebbe difendersi affermando che il rispetto dei 60 giorni non comporterebbe inammissibilità del ricorso, perché controparte non ha dato prova di aver subito un pregiudizio nella sua difesa (questa è solo una provocazione si è consci che in tale caso la differenza la fa la decadenza non impedita dal contribuente).

La Cassazione, con tale sentenza, confonde i presupposti del processo (tra cui il Giudice adito, che è una parte essenziale), che ne sono la genesi, e il diritto di difesa delle parti, che è una conseguenza derivata dalla genesi del processo.

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