Cancellazione Società

Corte Costituzionale: il Fisco può considere ancora “vive” le società cancellate

Il Fisco può accertare le società cancellate per altri 5 anni

La Consulta, con la sentenza n. 142 del 08 luglio 2020, ha dichiarato non fondata la questione di incostituzionalità sollevata dalla CTP di Benevento in riferimento alla norma (art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014) che permette al fisco di considerare ancora “vive”, per 5 anni, le società cancellate, al solo fine del recupero delle imposte. Importante è anche il confronto con l’art. 40 del Decreto Semplificazione che accelera la cancellazione d’ufficio delle società inattive.

La disparità di trattamento con gli altri creditori è giustificato dal fatto che il Fisco ha il particolare fine del finanziamento dello Stato.

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Articoli di riferimento

ART. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014:

4. Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese.

Art. 2495 c.c.

1 Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.

2 Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società”.

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Inquadramento delle questioni sottese

1. La modifica del 2003

Come oramai è ben noto dopo la modifica dell’art. 2495, comma 2, c.c. (effettuata dall’art. 4 del D.Lgs. n. 6/2003) le società di capitali per poter essere cancellate non devono chiudere con il bilancio di liquidazione in pareggio.

In buona sostanza, dal 2004, le Società di capitali possono essere cancellate anche se nei bilanci presentano ancora debiti (si veda art. 2312 c.c. per le Società di Persone; art. 2324 c.c. per le S.a.s). Tali debiti cessano con la cancellazione della società (rimane la possibilità di chiederne il fallimento entro l’anno, ex art. 2495 c.c. ed ex art. 10 Legge Fallimentare, che però ora non trattiamo).

2. Le Sezioni Unite del 2010 e la cancellazione delle Società di Persone

Successivamente, tale effetto radicale dell’estinzione dei debiti e dei crediti sociali, a causa dell’estinzione della società, è stato “allargato” nel 2010 dalla Suprema Corte anche alle Società di persone (Cass. SS. UU. 4060, 4061 e 4062 del 22 febbraio 2010). Quindi, dopo tali sentenze, sia le società di capitali che quelle di persone (a seguito della loro cancellazione) vengono subito meno tutti i loro debiti e crediti sociali.

3. Le Sezioni Unite del 2013

Tuttavia, sempre la Suprema Corte con tre pronunce a Sezioni Unite (n. 6070/2016, n. 6071/2013 e n. 6072/2013) ha stabilito che la cancellazione della società NON determina l’estinzione dei debiti societari insoddisfatti nei confronti dei terzi.

Per tali sentenze dopo la cancellazione delle società si verifica un fenomeno di tipo successorio “sui generis”, nei confronti dei soci (tale effetto non vi è verso il legale rappresentante non socio).

Inoltre, tale responsabilità dei soci è limitata alla parte che essi hanno conseguito dalla distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione, oppure da quanto provato dall’Amministrazione finanziaria.

I debiti societari insoddisfatti possono essere riscossi dai creditori sociali in base a quanto percepito dai soci (non dall’ex legale rappresentante non socio) dalla cessazione della società.

4. La fictio iuris della norma dell’art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014 (entrato in vigore il 13/12/2014)

Per tale normativa, in riferimento ai soli debiti fiscali e contributivi, nei confronti del Fisco la società cancellata esiste per altri 5 anni dopo la sua cancellazione.

Quindi alle società chiuse dopo il 13/12/2014 (si considera l’invio della richiesta di cancellazione della società) gli atti di accertamento, di liquidazione e quelli della riscossione possono essere notificate alle società cancellata, in persona del precedente legale rappresentante, presso la loro sede (si veda anche la Circ. 6/E del 2015 che ha stabilito l’effetto retroattivo di tale norma e le Cass. n. 20752/2017, Cass. n. 17791/2016, Cass. n. 8140/2016; Cass. n. 6743/2015 che hanno statuito l’effetto non retroattivo di tale norma).

Invece, per le società cancellate prima del 13/12/2014 (come nel caso in analisi) gli atti del Fisco e del Riscossore NON possono essere notificati alle società cancellata, in persona del precedente legale rappresentante, presso la loro sede.

Tali atti devono essere notificati in proprio ai soci presso il loro indirizzo di residenza per l’effetto della successorio “sui generis” delle tre Cassazioni a Sezioni Unite del 2013 (le sanzioni però si estinguono).

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La questione posta a base della richiesta di incostituzionalità

La CTP di Benevento sollevava la questione di incostituzionalità dell’art. 28, comma 4, Legge n. 175/2014 per due questioni:

  1. violazione dell’art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento tra creditore Fisco e gli altri creditori (civili), in caso di cancellazione dal registro delle imprese della Società debitrice. Solo per il primo la società cancellata rimane ancora “viva” per altri 5 anni, al fine di permettergli di attivarsi per il recupero del credito tributario;

  2. Eccesso di delega del Governo nell’eseguire i dettati dell’art. 7 della Legge n. 23/2014. Il rendere inefficace la cancellazione di un soggetto giuridico verso il Fisco, non rientra nella delega concessa che aveva come finalità quella di eliminare gli adempimenti superflui o di scarsa utilità.

La Corte Costituzionale si dilunga sulla questione di eccesso di delega e risolve, invece velocemente, la problematica della disparità di trattamento statuendo:

  • La disciplina di cui all’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, nel favorire l’adempimento dell’obbligazione tributaria verso le società cancellate dal registro delle imprese, non determina l’ingiustificata disparità di trattamento denunciata dal rimettente. Come ha avuto già modo di affermare questa Corte, non è configurabile una piena equiparazione fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie, per la particolarità dei fini e dei presupposti di queste ultime (sentenza n. 291 del 1997), che si giustificano con la «garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato» (sentenza n. 281 del 2011), cui è volto il credito tributario. In definitiva, l’interesse fiscale perseguito dalle obbligazioni tributarie giustifica lo scostamento dalla disciplina ordinaria” (Corte Cost. n. 142/2020).

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