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Il pagamento non spontaneo, ma eseguito solo al fine di evitare atti del riscossore, non preclude l’impugnazione dell’atto

Pagamento ed impugnazione atto

In caso di pagamento della somma (tutta o in parte) oggetto di un atto del Fisco, ciò non comporta rinuncia da impugnare tale atto o acquiescenza a tale provvedimento.

Per la Suprema Corte, con la Sentenza n. 18905 del 4 luglio 2023, un pagamento non spontaneo, ma mosso per evitare ulteriori conseguenze (come, ad esempio, un pignoramento), non impedisce al contribuente di contestare tale atto avanti al giudice, sempre che non siano scaduti i termini per l’impugnazione.

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La Cassazione indica i requisiti indispensabili che devono sussistere (entrambi) perché il pagamento della soma da parte del contribuente comporti rinuncia all’impugnazione dell’atto:

“1) che una controversia tra contribuente e fisco sia già nata e risulti chiaramente nei suoi termini di diritto o, almeno, sia determinabile oggettivamente in base agli atti del procedimento“;

“2) che la rinuncia del contribuente sia manifestata con una dichiarazione espressa o con un comportamento sintomatico particolare, purché entrambi assolutamente inequivoci(Cass. n. 18905/2023)

Inoltre, il Supremo Consesso ha statuito:

“Orbene, come ha sempre affermato questa Corte, “costituisce principio generale nel diritto tributario che non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione (vedi anche News del 05 ottobre 2020) o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario.

Siffatto riconoscimento esula, infatti, da tale procedura, regolata rigidamente e inderogabilmente dalla legge, la quale non ammette che l’obbligazione tributaria trovi la sua base nella volontà del contribuente. Le manifestazioni di volontà del contribuente, pertanto, quando non esprimano una chiara rinunzia al diritto di contestare l’an debeatur, debbono ritenersi giuridicamente rilevanti solo per ciò che concerne il quantum debeatur, nel senso di vincolare il contribuente ai dati a tal fine forniti o accettati.” (Cass. n. 18905/2023)

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E’ chiaro che il dovere/obbligo di pagare i tributi non nasce dalla volontà del contribuente (altrimenti pagherebbero i tributi solo i contribuenti che dichiarano di volerli pagare, cioè nessuno), ma dall’imposizione dello stato.

Pertanto, il pagamento della somma oggetto di un atto del fisco non può escludere la validità (legalità) della fonte normativa.

In altri termini, se per legge tali tributi non erano dovuti, il volere del contribuente non li rende dovuti.

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